Il capodanno cinese non coincide con quello europeo, e decisamente, per il cyberdissidente Zheng Yichun, non si sarebbe trattato di un buon “principio”. Il 30 dicembre 2005 è stata confermata in appello la sua condanna a sette anni con l’accusa di “incitazione al rovesciamento dello stato”, veicolata attraverso Internet. È l’ennesimo episodio di censura su Internet da parte delle autorità cinesi, una morsa sempre più stretta che, tuttavia, non riesce a soffocare i moti di ribellione tra i professionisti dell’informazione e fra i cittadini. Zheng Yichun, in particolare, è diabetico e non riceve cure adeguate dal momento della sua incarcerazione, il 22 settembre dell’anno appena trascorso. In tali condizione rischia la morte. La famiglia non può visitarlo e il suo avvocato, unico a poterlo incontrare, ha abbandonato la sua difesa proprio alla vigilia della battaglia d’appello. Non si sa se la decisione del legale sia avvenuta in piena libertà. Il dissidente fa parte del movimento religioso falungong, un gruppo spirituale vittima di una feroce repressione in Cina ma che non cessa di fare proseliti. Nel frattempo, c’è fermento tra i giornalisti cinesi: si organizzano scioperi e contestazioni alla censura sulla stampa e sull’uso di Internet.