Mayab capitolo 1

Capitolo 1 - Andando nel Mayab

2000 mayab maya mayabC'erano pochi personaggi a punteggiare la sala d'attesa. Ciascuno aveva un volo che doveva partire tra pochi minuti da quella porta. Noi pure, ma con destinazione diversa da tutti gli altri. Eppure si parte da qui. Questa è la nostra porta, e sa così piacevolmente di mistico avere una propria porta per un posto lontano. I più intraprendenti, i capo gita delle altre destinazioni si informano. Abbiamo ragione Flaco ed io. Da questa porta si va solo in Mexico. I capo gita proseguono lungo corridoio. Il resto dei personaggi li segue. Una porta per un posto lontano ci sarà anche per loro. In effetti siamo veramente in pochi ad aspettare il volo per Mexico. Strano. Strano è pure che le nostre carte d'imbarco arrivino con il volo solo a Mexico dove dobbiamo scendere e cambiare, mentre i nostri zaini vanno dritti comodi a Cancun. Quasi il biglietto l'avessimo pagato ai bagagli, invece che a noi stessi. Mandate noi direttamente a Cancun, e fate fare il giro degli scali agli zaini. Era davvero strano. Poca gente, bagagli chissà dove, cancellazioni di voli che si sprecano, eppure non avevamo il minimo dubbio che saremmo riusciti a riunire il tutto facilmente. La porta dopo alla nostra porta a Chicago. Sono tanti, quasi tutti grassi, e sono in fila come deficienti, pronti per salire a bordo, quando una voce ferma tutto, e li ritarda ad ora da destinarsi per la sostituzione dell'aeromobile. Cause tecniche. Il malcontento borghese americano esplode. Una pantera nera vestita di beige si lamenta forsennatamente con un addetto dell'aeroporto senza riflettere che per arrivare sana e salva vestita di beige a Chicago, era meglio che avessero sostituito l'aeromobile. Contemporaneamente, la stessa voce invita quelli diretti a Mexico a salire dalla porta per Chicago, e mi viene in mente che forse hanno solo sostituito le vittime, mentre l'aeromobile è rimasto lo stesso. Penso a questo perché siamo in sessantacinque ad imbarcarci, un niente confronto ai quattrocento possibili. Magari la compagnia aerea ha pensato che era meglio sacrificare sessantacinque latino americani, o aficionados, piuttosto che quattrocento obesi borghesi diretti a Chicago. Se avessi proprio dovuto, io avrei fatto viceversa, ma non occuperò mai una posizione che decide queste cose. Meglio. Meglio anche a bordo. Pochi ma buoni. Ognuno dei passeggeri ha tutta una fila di poltrone per se. Le hostess sorridono, perché noi siamo eccitatissimi all'idea di fare la traversata comodi distesi e dormendo, e loro non avranno un cazzo da fare tutto il viaggio e potranno riposare a turno. Io addirittura comincio a prepararmi da subito. Ciabatte comode. Mutandoni comodi. Zainetto sistemato. Sono in una fila da quattro, abbassando tutti i sedili diventerebbe un comodissimo letto che senza tutti quegli attacchi per le cuffiette, e le cinture di sicurezza, e che sicurezza, a spaccarti la schiena, sarebbe quasi perfetto. Decolliamo in orario. Miracolo. Io ho già sonno. Penso che magari bisognava cominciare raccontando che anche questa volta il tamburo del cavalcavia della tangenziale aveva rimbombato nelle nostre menti silenziose. Magari che tutto quel rimbombare si era perso nella normalità di fare quello che si è sempre sognato di fare. Guardavamo curiosi il mondo ogni giorno, figurarsi prima di andarlo a vedere per davvero. Chissà come potrei vederlo tutto quest'unico mondo? Che sonno! Perché pare sia l'unico davvero, o almeno l'unico fruibile, e fino a prova contraria lo è. Poi è stato sonno volante.
 

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